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OPM: articoli vari
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Documento di Annapaola Laldi
22 settembre 2009 11:53
 
 
INDICE:
  1. LO STATO E IL SUO OTTO PER MILLE (Eugenio Bernardini)
  2. L'ART. 8 DELLA COSTITUZIONE: LE MINORANZE RELIGIOSE E LE INTESE (Gianni Long)
  3. QUANTO "COSTA" ALLO STATO IL FINANZIAMENTO DELLA CHIESA CATTOLICA (Marcello Vigli)


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LO STATO E IL SUO OTTO PER MILLE
Eugenio Bernardini, direttore del settimanale delle chiese valdo-metodiste.

Articolo comparso su "Riforma" del 23 marzo 2001. 
Le somme gestite dallo stato sono modeste, tanto che le scelte non espresse relative a valdesi e metodisti costituiscono il 6% della quota statale. Finanziamenti diretti e indiretti ai cattolici)". 
COME è noto il Sinodo del 1991, approvando l'ingresso delle chiese valdesi e metodiste tra i destinatari delle quote Otto per mille (Opm), aveva posto due limiti: no al finanziamento al culto, no alla gestione della quota relativa alle scelte non espresse. Questa quota "non espressa" veniva esplicitamente destinata dal Sinodo allo stato. È quindi lo stato, e solo lo stato, il destinatario di quella quota di scelte non espresse attribuibili alla Chiesa valdese di cui si sta discutendo dal Sinodo dell'anno scorso. Ma quale uso fa lo stato del "suo" Opm? 
Criteri e procedure dello stato 
Otto anni dopo l'entrata in vigore del sistema Opm, con il Dpr 10 marzo 1998, n. 76, "Regolamento recante i criteri e le procedure per l'utilizzazione dell'Otto per mille dell'Irpef devoluta alla diretta gestione statale", sono stati introdotti i criteri per la valutazione dell'ammissibilità degli interventi e le procedure per l'utilizzo delle risorse. Prima di tutto, si è confermato che gli interventi statali sono destinati a interventi "straordinari" (la normativa insiste sul fatto che gli interventi non devono sostenere "l'attività di ordinaria e corrente cura degli interessi coinvolti") per combattere la fame nel mondo, in caso di calamità naturali, per l'assistenza ai rifugiati e per la conservazione dei beni culturali. I soggetti che possono accedere alla ripartizione di queste quote sono le pubbliche amministrazioni, le persone giuridiche, gli enti pubblici e privati, purché non abbiano fine di lucro. Sono poi elencati i requisiti soggettivi e oggettivi che devono avere i richiedenti diversi dalle pubbliche amministrazioni (si tratta di requisiti assolutamente ragionevoli in quanto garantiscono un corretto e trasparente uso delle risorse), e le procedure per la concessione dell'utilizzo della quota Opm. 
Dal 1991 al 1997 
Prima dell'entrata in vigore della normativa del 1998, lo stato ha così destinato la quota Opm di sua spettanza: 
1991: 150 miliardi interamente destinati a favore dei profughi albanesi. 
1992: 200 miliardi interamente destinati per emergenze di calamità naturali. 
1993: 180 miliardi destinati al Fondo per la protezione civile (35 miliardi), a "varie esigenze relative al comparto del culto, dei beni culturali e a quello sociale" (105 miliardi, non ulteriormente specificati) e per calamità naturali (40 miliardi). 
1994: 152 miliardi destinati al comparto dei "beni culturali, al comparto sociale e al ripristino e mantenimento di edifici di culto" (100 miliardi; possiamo fare le stesse considerazioni di cui sopra) e ai provvedimenti contro gli incendi boschivi (52 miliardi). 
1995: 128,3 miliardi destinati a interventi per l'alluvione in Piemonte (30 mld) e per gli incendi boschivi (34 mld), per gli "indennizzi per invalidità da vaccinazioni obbligatorie" (34 mld), per il comparto dei beni culturali (17,6 miliardi, destinati a enti e istituti pubblici e privati e 12,7 miliardi per ripristino e conservazione di beni culturali non ulteriormente specificati). 
1996: 150 miliardi destinati al corpo nazionale dei vigili del fuoco (15 miliardi), per interventi di protezione civile (40 miliardi), agli enti lirici (15 miliardi) e al comparto dei beni culturali e ambientali e al settore dello spettacolo (80 miliardi, di cui 700 milioni al Fondo edifici di culto). 
1997: 183,6 miliardi destinati all'intervento in Albania (65 miliardi), al patrimonio culturale (20 miliardi), alla protezione civile (30 miliardi) al Corpo nazionale dei vigili del fuoco (10 miliardi), ai beni culturali e ambientali e al settore dello spettacolo (58,6 miliardi, di cui 8,6 miliardi per beni culturali che, in quattro interventi sui sei elencati, riguardano chiese, conventi, edifici religiosi di "interesse storico-artistico-religioso", e 500 milioni al Fondo edifici di culto). 
Dal 1998 a oggi 
Dopo l'entrata in vigore della normativa del 1998, lo stato ha così destinato la quota Opm di sua spettanza: 
1998: 175 miliardi destinati a zone terremotate o colpite da altre calamità (35 miliardi), alla ricerca oncologica (5 miliardi), al dissesto idrogeologico (100 miliardi), a 39 progetti (su 495 presentati) "meritevoli di accoglimento" (35 miliardi). Tra i progetti approvati, 2 sono di parrocchie: uno per la creazione di un centro di assistenza per rifugiati (650 milioni), l'altro per il restauro della chiesa (circa 1 miliardo). Dei 33 progetti restanti, 5 sono di vari enti pubblici per il restauro di chiese (per un totale di circa 3,4 miliardi) e uno al Fondo edifici di culto della Direzione affari di culto del ministero dell'Interno (2,5 miliardi) per "interventi di manutenzione straordinaria" di 6 chiese (a Roma, Palermo e Frosinone). 
1999: 201 miliardi destinati alle missione di pace nei Balcani (140 miliardi), a interventi di protezione civile (26,5 miliardi), a 66 progetti (non è fornito il numero totale dei progetti presentati) approvati (34,5 miliardi). Tra questi, 10 sono di parrocchie o enti ecclesiastici cattolici (per un totale di 7,1 miliardi), 11 di enti pubblici per il restauro di chiese e di edifici religiosi cattolici (per un totale di 5,2 miliardi), 2 al Fondo edifici di culto della Direzione affari di culto del ministero dell'Interno (per un totale di 1,7 miliardi) per "interventi di manutenzione straordinaria" di 2 chiese (a Roma e Padova). 
2000: 193 miliardi destinati alle missioni internazionali di pace (110 miliardi) e a 89 progetti (su 910 presentati) approvati (83 miliardi). Tra questi, 13 sono di parrocchie o enti ecclesiastici cattolici (per un totale di 7,2 miliardi), 20 di enti pubblici per il restauro di chiese ed edifici religiosi cattolici (per un totale di 15,7 miliardi), 1 al Fondo edifici di culto della Direzione affari di culto del ministero dell'Interno (1,2 miliardi) per "interventi di manutenzione straordinaria" di una chiesa a Palermo, e 1 alla Comunità ebraica di Merano-Bolzano (89 milioni) per il "riordino e inventariazione archivio storico della Comunità ebraica". 
Il confronto con la Chiesa cattolica 
Al di là dei commenti che ciascuno può fare rilevando l'ulteriore finanziamento diretto e indiretto alla Chiesa cattolica, c'è un altro dato che colpisce: è l'esiguità delle cifre gestite dallo stato. Questo dipende certamente dal fatto che lo stato non ha mai promosso una campagna né per la firma in generale né per la firma a proprio favore. Fatto sta che, per prendere il dato del solo anno 2000, la quota di Opm gestita dallo stato è composta per circa il 6% da quella delle scelte non espresse relative alla Chiesa valdese (circa 12 miliardi). Una percentuale significativa, viste le piccole dimensioni della quota valdese. 
Come ulteriore termine di paragone, negli stessi anni la Chiesa cattolica ha avuto: 406 miliardi (1991 e 1992, si tratta di acconti), 587 (1993), 702 (1994), 870 (1995), 1.454 (1996), 1.383 (1997), 1.328 (1998), 1.463 (1999), 1.229 (2000). In questi anni la Chiesa cattolica ha riservato le maggiori risorse al "sostentamento del clero" (è la voce più consistente negli anni 1990-1995; l'Opm doveva sostituire prima di tutto gli assegni di congrua che lo stato pagava ai sacerdoti cattolici fino al 1989) e alle "esigenze di culto" (questa voce supera la precedente solo a partire dal 1996), mentre gli "interventi caritativi" oscillano mediamente intorno al 20% del totale annuo: 88 miliardi (1991) 93 (1992), 105 (1993), 126 (1994), 195 (1995), 283 (1996), 283 (1997), 261 (1998), 266 (1999). 



L'ART. 8 DELLA COSTITUZIONE: LE MINORANZE RELIGIOSE E LE INTESE
Prof. Gianni Long, Universita' "Luiss" di Roma 

1. Dalla Costituzione alle Intese. La Costituzione italiana del 1947 e', come spesso succede nelle Assemblee Costituenti, il frutto di un compromesso: l'art.7 dava continuita' alla linea di politica ecclesiastica del fascismo. La principale obiezione delle forze anticoncordatarie era quella relativa alla sorte delle minoranze religiose. E la soluzione fu individuata nella creazione di uno strumento bilaterale anche per le altre confessioni religiose. L'art.8 assicurava alle confessioni religiose minoritarie "eguale liberta'" ed una posizione di rilievo nell'ordinamento attraverso la previsione di uno strumento bilaterale (le intese) per regolare i loro rapporti con lo Stato. Va comunque ricordato che questo strumento bilaterale non era stato richiesto dalle minoranze religiose, ma era stato "inventato" in sede di dibattito parlamentare, come contraltare all'art. 7. Inoltre, al momento dell'approvazione della Costituzione, non era chiara la natura giuridica delle intese e neppure il numero delle possibili confessioni. Vi e' ragione di ritenere che i costituenti avessero in mente due intese: con gli ebrei e con i "protestanti". 
E' noto come molte norme costituzionali siano rimaste inattuate per molti anni, in particolare per cio' che riguarda la liberta' religiosa dei singoli e delle confessioni. Di intese non si parlo' per lungo tempo, nonostante le sollecitazioni delle confessioni interessate, e rimase in vigore la legislazione del 1929-30 sui "culti ammessi". Solo l'entrata in funzione della Corte Costituzionale produsse la caduta delle norme piu' repressive della legislazione sui "culti ammessi": dapprima l'obbligo di preavviso per le funzioni in luoghi aperti al pubblico (1957), poi (1958) la necessita' di autorizzazione per l'apertura di luoghi di culto e l'obbligo della presenza di un ministro di culto "approvato" dell'autorita' per la Celebrazione di qualsiasi rito. 
Questo miglioramento della situazione e anche la convinzione che, nell'epoca successiva al Concilio Vaticano II, si avviasse al termine l'era dei Concordati, condussero ad accantonare le intese. In occasione del Congresso evangelico italiano del 1965 venne diffuso un questionano tra le chiese, da cui emerse lo sfavore per la stipulazione di intese e piuttosto la scelta di vivere nel "diritto comune", con la garanzia della Costituzione. Ma a rilanciare l'ultima comma dell'art. 8 della Costituzione fu l'avvio della revisione concordataria. Nel 1976 fu annunziato in Parlamento l'avvio delle trattative per la modifica del Concordato, insieme ad analoghe trattative per dare attuazione all'art.8 della Costituzione, stipulando un'intesa con la "Chiesa Valdese e (...) quella metodista che ne hanno fatto esplicita richiesta. Le due trattative furono parallele: tanto che la firma dell'intesa con la Tavola valdese, in rappresentanza delle chiese valdesi e metodiste avvenne pochi giorni dopo quella del nuovo Concordato, nel febbraio 1984. Seguirono altre cinque intese, stipulate con l'Unione delle chiese cristiane avveniste del 7° giorno (1986), con le Assemblee di Dio in Italia (1986), con l'Unione delle comunita' ebraiche (1987), con l'Unione cristiana evangelica battista in Italia (1993), con la Chiesa evangelica luterana in Italia (1993). Alcune di queste intese sono poi state oggetto di successive modifiche. 
2. I contenuti delle Intese. Le intese sono state sentite dalle minoranze religiose che le hanno stipulate come una "alternativa al Concordato" (questo il titolo del commento alla prima intesa, pubblicato dalla casa editrice valdese) e talora definite anche come "Intese di separazione". Quest'ultima definizione e' discutibile, trattandosi comunque di un atto bilaterale. Ma certo l'intento di richiamare il separatismo e' evidente nella intesa con le chiese rappresentate dalla Tavola valdese nel 1984. Essa contiene poche norme e molte dichiarazioni di principio, in negativo: no alla tutela penale del sentimento religioso, al ricorso al "braccio secolare", ai finanziamenti pubblici. Parzialmente simili sono le altre due intese "corte", cioe' composte di pochi articoli: quella con le ADI e quella l'Unione battista. 
Diverse come concezione sono le intese "lunghe": con l'Unione avventista e soprattutto con gli ebrei e con i luterani. Esse sono composte di molti articoli, poiche' regolano molte materie, ritenute evidentemente res mixtae tra le confessioni e lo Stato. Ed in esse tende a prevalere quella che, al tempo della preparazione delle intese era stata definita la "clausola della religione piu' favorita": cioe' ad ottenere, con i necessari adattamenti uno status simile a quello concesso alla religione cattolica dagli accordi concordatari. Prevale cioe' una preoccupazione di eguaglianza sostanziale tra le diverse confessioni religiose e i loro membri. Va detto che questa linea sembra essere diventata prevalente con le modificazioni successive delle intese in materia di rapporti finanziari, in cui l'analogia di trattamento con la chiesa cattolica e' diventata gradualmente piu' evidente. In particolare, oggi soltanto le chiese battiste non partecipano al sistema di divisione dell'otto per mille dell'IRPEF. 
Al di la' della distinzione enunciata, molte sono le analogie di contenuto tra le diverse intese: in materia di assistenza spirituale nelle istituzioni collettive, di enti ecclesiastici, di insegnamento religioso nelle scuole, di celebrazione di matrimoni (con una significativa differenza, in quest'uomo caso, tra l'intesa ebraica e tutte le altre), di tutela dei beni culturali. Ad esse si affiancano alcuno specificita' delle diverse confessioni: e' il caso del riposo sabbatico per avventisti ed ebrei e del rispetto delle prescrizioni alimentari per questi ultimi. 
3. Gli sviluppi piu' recenti. Dopo la stipula delle prime intese si e' aperto un dibattito sull'opportunita' di continuare a stipularne delle nuove. Da una parte, si sostiene che la legislazione sulla base di intese e' l'unico modo costituzionalmente corretto di regolare i rapporti tra Stato e qualunque confessione religiosa. Dall'altra, si rileva che non e' possibile arrivare al paradosso di infinite nuove intese (ciascuna con la relativa legge di approvazione), magari con gruppi religiosi di ridotta consistenza e poco significativi: meglio sarebbe una nuova legge "generale" che sostituisca definitivamente la legislazione sui "culti ammessi". I governi degli ultimi anni hanno oscillato tra le due posizioni: nel 1990 un primo progetto di legge sulla "liberta' religiosa" fu approvato dal governo Andreotti, ma mai presentato in Parlamento; nel 1993 il governo Amato riapri' la "stagione delle intese"; nel 1997 il governo Prodi ha presentato in Parlamento il progetto di legge "generale" (attualmente in discussione presso la I Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati), ma contemporaneamente ha avviato le trattative per due nuove intese "difficili" ma particolarmente significative: con l'Unione buddista e con la Congregazione cristiana dei Testimoni di Geova. Molto interesse riscuote attualmente la questione di una possibile intesa con le comunita' islamiche; essa presenta un problema nuovo, poiche' - a differenza di quanto avvenuto per le intese sinora decise - non esiste un solo interlocutore che rappresenti quella confessione religiosa. 
4. Indicazioni bibliografiche. 
I testi delle intese sinora stipulate e della normativa vigente sono reperibili in: 
BERLINGO - CASUSCELLI, Codice del diritto ecclesiastico, Giuffre', Milano 1993 (terza ed.); BOTTA, Codice di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino 1997. 
Oltre ai principali manuali universitari di diritto ecclesiastico, si consigliano le seguenti monografie: 
LONG, Alle origini del pluralismo confessionale. Il dibattito sulla liberta' religiosa nell'eta' della Costituente, Il Mulino, Bologna, 1990; 
COLAIANNI, Confessioni religiose e intese, Cacucci, Bari 1990; 
PARLATO, Le intese con le confessioni acattoliche. I contenuti, Giappichelli, Torino 1991; 
LONG, Le confessioni religiose "diverse dalla cattolica", Il Mulino, Bologna 1991; 
PARLATO - VARNIER (cur.), Normativa e organizzazione delle minoranze confessionali in Italia. Giappichelli, Torino 1992; 
PARLATO - VARNIER (cur.), Principio pattizio e realta' religiose minoritarie, Giappichelli Torino 1995; 
FERRARI - VARNIER (cur.), Le minoranze religiose in Italia, San Paolo, Cinisello Balsamo 1997. 
Si segnalano inoltre i numeri monografici delle riviste Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, n. 1/1997 (La religione nella citta'. Diritto e politica ecclesiastica nell'Italia di fine secolo) e Coscienza e liberta' n. 31 del dicembre 1998. 
Luiss - Prof. Gianni Long, Universita' Luiss - Prof. Gianni Long, Universita'



QUANTO "COSTA" ALLO STATO IL FINANZIAMENTO DELLA CHIESA CATTOLICA
Marcello Vigli

Fin dalla sua costituzione lo Stato italiano ha contribuito al sostentamento del clero cattolico "in cura d'anime" con un finanziamento pubblico, che si configurava come risarcimento per la perdita dei molti beni ecclesiastici da esso confiscati con le leggi cosiddette "eversive". Lo Stato si faceva carico, in pratica, della volonta' dei "fedeli", che con i loro lasciti avevano costituito il patrimonio delle chiese, sostituendo le rendite, che ne sarebbero derivate, con il suo contributo diretto al mantenimento dei parroci. Chiamato congrua perche' integrava le offerte dei fedeli per renderle adeguate alle necessita' delle parrocchie, tale contributo era progressivamente rivalutato senza piu' un rapporto reale con le rendite perdute. 
La situazione non cambio' molto con i Patti Lateranensi del 1929 che, mentre con la Convenzione finanziaria risolsero definitivamente il contenzioso economico tra l'Italia e la Santa Sede, con il Concordato mantenevano il pagamento della congrua ai parroci in cura d'anime, non quindi a tutti sacerdoti. Convenzionalmente considerata ancora come restituzione dei beni ecclesiastici continuo' ad essere rivalutata negli anni. 
Il sistema e', invece, radicalmente mutato con l'Accordo del 1984 di revisione del Concordato, voluto da Bettino Craxi, e con la legge 222/85 di applicazione dell'intesa finanziaria in esso contenuta che configura un sistema di finanziamento pubblico affidato alla gestione della Conferenza episcopale italiana, Cei. 
Non si tratta, infatti, di autofinanziamento, come si tento' di far credere in un primo momento, ma di autentico finanziamento diretto da parte dello Stato che copre non solo le spese del sostentamento dei parroci, come ai tempi della congrua, ma l'intera attivita' della Chiesa cattolica. 
Per di piu' su tale modello si sono definite le norme di finanziamento delle altre confessioni religiose che hanno stipulato Intese con lo Stato italiano. Esse, eccetto l'Unione delle Comunita' ebraiche, dichiarano, pero', di non usare le somme ricevute dallo Stato per il mantenimento delle loro strutture, ma solo per attivita' assistenziali e culturali in Italia all'estero. 
Otto per mille e deduzione fiscale 
La suddetta legge 222/85 configura due forme di finanziamento. 
La prima prevede la sottrazione dell'otto per mille del bilancio dello Stato alla giurisdizione del Parlamento per affidarne la destinazione alle scelte dei contribuenti, che quindi nulla pagano in piu' delle imposte dovute, la seconda prevede che i contribuenti possano dedurre dal loro imponibile fiscale un esborso diretto a favore di una confessione religiosa. Anche questo grava, ugualmente, sul bilancio dello stato sotto forma di "lucro cessante". 
In conformita' a questa normativa ogni anno una percentuale pari all'otto per mille del gettito complessivo dell'Irpef (non delle imposte di ciascuno), va alla Chiesa cattolica sulla base delle scelte dei contribuenti. Tale percentuale, in costante aumento per la diminuzione dell'evasione e per l'aumento dell'inflazione, e' accresciuta dalla successiva ripartizione dell'ammontare annuo dell'otto per mille su cui non si sono esercitate scelte e che e' ridistribuito, in base a quella percentuale, tra gli enti (Chiesa cattolica, Governo, e altre confessioni) che la legge prevede come destinatari dell'otto per mille. Nel corso degli ultimi anni solo il 45% degli aventi diritto hanno in media effettuato la scelta. Di questi circa il 75% ha destinato l'otto per mille alla Chiesa cattolica, a cui viene attribuito, grazie alla norma suddetta, la stessa percentuale della quota di quanti non hanno scelto. 
Nei primi quattro anni (1989-1993), dopo l'entrata in vigore della nuova normativa, non essendo possibile calcolare l'entita' delle scelte sono stati erogati ogni anno 406 miliardi di acconto, pari all'ammontare annuo della somma delle congrue alla firma dell'accordo, poi si sono avviati i versamenti regolari delle quote di pertinenza attraverso un complesso sistema di acconti e conguagli. 
Per l'anno 1999 il finanziamento e' stato pari a 1461 miliardi, 1.043 in acconto e 418 di conguaglio. Per il 2000 sono previsti 1.550 miliardi, 1.100 d'acconto e 450 di conguagli. 
Dal 1989 sono stati erogati in tutto 9.408 miliardi, invece dei 4.060 se fosse restato in vigore il vecchio sistema, nel 2000 saranno 10.958 con la media annua di 1.000 miliardi. 
Una seconda forma di finanziamento e' costituita dal diritto, riconosciuto ai contribuenti, alla deduzione fiscale per le somme, fino a due milioni, erogate a favore della Chiesa cattolica o delle altre confessioni. Ne derivano contributi che nel corso degli anni, per la prima, si sono aggirati tra i quaranta e i quarantasei miliardi. Dal confronto tra il gettito delle due forme di finanziamento si puo' dedurre che quando si tratta di un esborso diretto i contribuenti sono meno generosi, non hanno mai superato il numero di 180.000 sui venti e piu' milioni di contribuenti. 
Nella dichiarazione dei redditi del 1999 sono stati sottoscritti 42 miliardi. E' difficile calcolare il lucro cessante per lo Stato, ma si puo' ipotizzare che si aggiri intorno ai 15 miliardi l'anno. 
Finanziamento indiretto 
Al finanziamento diretto alla Cei, si aggiungono altre forme di finanziamento che, seppure indirette, costituiscono pur sempre un onere per le pubbliche finanze in primo luogo gli stipendi dei ministri di culto (insegnanti di religione cattolica nelle scuole e cappellani nelle caserme, nelle carceri e negli ospedali) impegnati per motivi pastorali in strutture pubbliche. 
Gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche costano circa mille miliardi l'anno. Nell'anno in corso sono a carico del bilancio della Pubblica Istruzione precisamente 976 miliardi per circa 20.000 insegnanti: 1415 nelle materne, a coprire 33.969 ore, 7.996 nelle elementari, a coprire 175.912 ore, e 10.486 insegnanti nelle medie inferiori e superiori. 
Essi, oltre a rappresentare un'ingombrante presenza confessionale nella scuola pubblica, costituiscono anche una riserva di operatori pastorali a disposizione delle diocesi. La pressoche' piena discrezionalita' delle curie diocesane nelle nomine e nelle conferme in servizio, mentre offre facili occasioni di favoritismi e di clientelismo, costituisce un forte strumento di pressione. 
Gli stipendi dei cappellani militari, che recentemente sono stati estesi alla Polizia di Stato pur demilitarizzata, non raggiungono una cifra cosi elevata. Difficile e' il calcolo del loro ammontare perche' nei bilanci dei ministeri della Difesa e dell'Interno sono inseriti tra le voci concernenti le strutture finalizzate al benessere dei militari. Lo stesso si puo' dire per i cappellani delle carceri e degli ospedali. 
E'' anche difficile, se non impossibile, valutare le somme che lo Stato non incassa per gli usi illegittimi delle forme di esenzione fiscale garantite alle attivita' e alle strutture destinate al culto. Queste, equiparate con la legge 121/85 alle attivita' culturali e assistenziali, godono di un particolare regime fiscale, esenzione dall'IVA e dall'imposta sui terreni. Va aggiunto il regime speciale di esenzione dall'Invim degli atti di compra-vendita di immobili di proprieta' ecclesiastica. E' innegabile che in questo regime sono facili le occasioni, che diventano tentazioni, di usare le finalita' di culto come copertura di attivita' lucrative, pur se a maggior gloria di Dio. E' facile che questo accada trattandosi di 16.500 istituti religiosi, 27.000 parrocchie e 16.000 enti di varia natura. Meno facile che siano indagati o perseguiti se si pensa alle difficolta' di far luce sulle attivita' finanziarie del cardinale Giordano, pur inquisito per fatti accertati di rilevanza penale, e se si ricorda l'omerta' che ha coperto le vicende che hanno accompagnato la truffa dello Ior. 
Possiamo aggiungere all'elenco la parte dei finanziamenti alle scuole private confessionali. Sono da respingere i tentativi di chiamarle "libere", perche' in verita' esse sono ideologicamente "orientate", o di assimilarle a quelle degli enti locali, non governative ma pur sempre pubbliche, perche' la loro gestione e' totalmente privata. Tali finanziamenti sono stati erogati fin qui in deroga alle leggi, mentre d'ora in avanti saranno legittimati, seppure in forma ambigua, dalla legge sulla parita' scolastica approvata recentemente dal Parlamento. Si tratta della parte assolutamente maggioritaria dei 550 miliardi in essa stanziati per le scuole private dell'infanzia e per le scuole elementari. Per la media restano ancora fuori legge 10 miliardi pronti a moltiplicarsi legittimamente non appena le scuole confessionali cominceranno a chiedere e ad ottenere di diventare paritarie, cioe' abilitate a svolgere "un servizio pubblico", con buona pace dell'articolo 33 della Costituzione. 
Meno rilevanti, pur se significativi, i contributi statali alle Universita' confessionali cattoliche nel quadro di quelli attribuiti alle private. 
A questo stesso capitolo vanno iscritti i contributi che le leggi regionali hanno fin qui concesso, e che si apprestano a concedere, agli alunni delle scuole private sotto forma di sostegno del diritto allo studio, in verita' in applicazione del principio di sussidiarieta'. Preferiscono erogare risorse a scuole confessionali, specie alle scuole per l'infanzia, piuttosto che incrementare l'istituzione di scuole pubbliche. Il Friuli, l'Emilia Romagna e la Lombardia sono all'avanguardia, ma, in diversa forma, anche le altre sono avviate ad imitarle. 
Analogamente possono essere considerati costi le sovvenzioni erogate alle organizzazioni confessionali all'interno dei contributi che lo Stato sociale, Governo ed Enti locali, - tanto vituperato se eroga pensioni o sostegno alla disoccupazione - distribuisce per promuovere cultura e qualita' della vita. Dall'uso degli obiettori di coscienza alle convenzioni, un incontrollato flusso di risorse si trasforma in finanziamento pubblico di attivita' private con buona pace dei principi liberisti e del carattere "volontario" di molte delle organizzazioni assistenziali. A quelle confessionali cattoliche tocca una grossa fetta della torta. Esse sono la punta di diamante del rivendicazionismo che anima l'intero settore associativo. 
Non per questo sono meno benemerite perche' finanziate. Il loro impegno interviene in settori che lo Stato non puo' raggiungere o costituisce una supplenza in quelli in cui gli interventi pubblici, spesso malgestiti, sono poco efficienti. Si puo' dire, quindi, che tale esborso di pubbliche risorse non e' del tutto a fondo perduto. Non si puo' neppure negare che i cappellani svolgano un utile servizio nelle carceri e negli ospedali, un po' meno nelle caserme. Perfino 132 miliardi dello stesso otto per mille attribuito alla Chiesa cattolica quest'anno sono destinati ad opere assistenziali in Italia. 
Anche dell'eccezionale finanziamento erogato dallo Stato in occasione del giubileo pari a 3.500 miliardi una parte e' stata utilizzata per opere pubbliche d'interesse generale, pur se la maggior parte e' stata destinata al rifacimento/ammodernamento di strutture ecclesiastiche. Ad essi si devono aggiungere i costi a carico dei bilanci statale o locali, relativi al servizio d'ordine, ai trasporti, al servizio pubblico radiotelevisivo, per consentire lo svolgimento e la spettacolarizzazione delle manifestazioni liturgiche e delle apparizioni papali. Solo alla fine dell'anno santo si potra' dire se hanno costituito un investimento redditizio o un gratuito contributo a sostegno del primato papale nella Chiesa cattolica. 
Costi "politici" 
Questo articolato e complesso sistema di finanziamento non e' paragonabile con nessuno dei sistemi in vigore nei paesi europei siano i paesi scandinavi, i länder luterani tedeschi o l'Inghilterra, dove la chiesa e' di stato, siano i paesi cattolici come la Spagna, il Portogallo e il Belgio dove pure sono previste forme di finanziamento diretto alla Chiesa cattolica. In nessuno di questi ultimi, eccetto il Lussemburgo, si raggiungono forme cosi capillari di integrazione, con gravi conseguenze sul piano istituzionale, e livelli cosi elevati di deresponsabilizzazione dei fedeli nei confronti del mantenimento della loro Chiesa. 
Si puo', infatti, rilevare che, ai costi economici del finanziamento dell'apparato ecclesiastico cattolico, sono da aggiungere i riflessi negativi che esso ha sul piano istituzionale e politico. 
In primo luogo c'e' da rilevare che lo stesso meccanismo dell'otto per mille inquina il sistema istituzionale esautorando il Parlamento dalla gestione di una parte solo percentualmente determinata delle risorse ricavate dalle imposte, che invece devono essere destinate in conformita' a precise norme legislative, affidandone la destinazione a singoli cittadini, per di piu' solo se contribuenti e dichiaranti. E' leso con cio' un principio fondamentale dello stato democratico. 
Per di piu' l'attribuzione alla Presidenza del Consiglio dei ministri della gestione della quota spettante allo Stato crea ogni anno un fondo di circa 150 miliardi di cui essa puo' disporre a discrezione. Il Capo del governo deve, infatti, solo indicare i criteri d'impiego in tempo utile perche' il Parlamento possa esprimere il suo parere, obbligatorio non vincolante. Per di piu' non e' svolta nessuna azione pubblicitaria per sollecitare i contribuenti, opportunamente informati, ad orientare le loro scelte verso lo Stato. Molti preferiscono astenersi nella scelta anche perche' ignorano le norme, ribadite e precisate nel recente DPR 76/98, che vincolano il governo a destinare queste risorse, gestite fuori del bilancio ordinario, a precisi settori di impiego: la fame nel mondo, le calamita' interne, l'assistenza ai rifugiati, la conservazione dei beni culturali. 
In verita' molti altri sono scoraggiati per l'uso distorto e discrezionale che ne hanno fatto i Presidenti del Consiglio. In generale sono stati dispersi in mille rivoli molti dei quali sono tornati a confluire verso strutture ecclesiastiche o organizzazioni confessionali. Talvolta le loro finalita' sono state stravolte: Andreotti nel 1991 ha attinto al fondo per fronteggiare l'emergenza dell'immigrazione albanese di massa, e D'Alema otto anni dopo per finanziare la missione arcobaleno e la guerra "umanitaria" in Jugoslavia 
Non meno negative sono le conseguenze che il finanziamento diretto dello Stato comporta nei rapporti interni alla Chiesa cattolica intesa come Comunita' dei fedeli. 
La Cei fissa annualmente l'ammontare lo stipendio mensile per tutti i sacerdoti, circa quarantamila, e lo eroga per intero a quelli che non hanno altre fonti di sostentamento. A quelli, che per la loro attivita' in strutture ecclesiali, o extraecclesiali percepiscono emolumenti, viene concessa una integrazione per raggiungere la quota fissata. Nessuna integrazione e' dovuta a quelli che la raggiungono con il loro lavoro. Nel 1999 solo 103 sono stati a pieno carico, 36.509 hanno ricevuto un'integrazione, 3.200 sono stati autosufficienti. 
In tal modo per tutti i sacerdoti cattolici, anche per i parroci, si conferma il ruolo di funzionari alle dipendenze della Cei dalla quale ricevono regolare stipendio: il suo Istituto Centrale Sostentamento del Clero paga i loro sostituti d'imposta. Con l'abolizione della congrua e' venuta meno la pur limitata autonomia formale goduta dai parroci che, ricevendola direttamente dallo Stato, potevano esserne privati solo se formalmente destituiti dall'autorita' ecclesiastica attraverso una procedura molto garantista. 
Si puo' quindi affermare che la gestione dell'apparato ecclesiastico italiano si avvia ad diventare pienamente aziendalistica. 
Questa concentrazione nelle mani della Cei dei poteri di gestione del finanziamento non aumenta solo il controllo sul clero, ma fa della sua Presidenza, del suo Presidente in particolare, un soggetto economico forte all'interno della comunita' ecclesiale capace di condizionare anche le attivita' e gli orientamenti di gruppi e singoli per la discrezionalita' di cui gode nell'elargizione di contributi. Si deve, infatti, tenere conto che solo 1/3 del finanziamento ricevuto come percentuale, in aggiunta alle scarse risorse ricavate dall'elargizione diretta, e' impegnato per il sostentamento del clero. Restano circa mille miliardi da destinare a sostenere la pastorale nelle diocesi, ma anche le attivita' sociali, culturali e di comunicazione, locali e nazionali, a tutto vantaggio di una gestione autoritaria della comunita' ecclesiale. La gerarchia cattolica, affrancata dalla necessita' di essere sostenuta economicamente dai fedeli, si costituisce come un soggetto autoreferenziale e antidemocratico sulla scena politica italiana capace di egemonia nella societa', anche per l'acquiescenza nei suoi confronti delle pubbliche autorita' e di gran parte della classe dirigente. 
Roma 5 giugno 2000
 
 
 
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