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Diamanti. MPS, sentenza Tar Lazio n. 10969/2018
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Sentenza di Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, I sez
16 novembre 2018 16:26
 
Pubblicato il 14/11/2018
N. 10969/2018 REG.PROV.COLL.
N. 00263/2018 REG.RIC.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 263 del 2018, proposto da 
Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Filippo Brunetti, Cristoforo Osti, Alfredo Vitale e Patrick Actis Perinetto, presso lo studio dei quali, in Roma, via XXIV Maggio, 43, è elettivamente domiciliata;

contro
Autorità garante della concorrenza e del mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

nei confronti
Movimento difesa del cittadino, non costituito in giudizio; 

per l'annullamento
del provvedimento n. 26758 dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, adottato nell'adunanza del 20.9.2017 a conclusione del procedimento n. PS10678 – DPI DIAMOND PRIVATE INVESTMENT-DIAMANTI DA INVESTIMENTO, notificato alla ricorrente il 30.10.2017, con il quale l'Autorità ha imputato anche a Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (“BMPS”), a titolo di “responsabilità concorrente”, la pratica commerciale scorretta posta in essere da Diamond Private Investment S.p.A. (“DPI”), consistente nell' “aver proposto l'acquisto di diamanti di investimento diffondendo informazioni omissive ed ingannevoli in merito alle caratteristiche dell'investimento proposto, al prezzo dei diamanti e alla convenienza economica di tale acquisto anche avuto riguardo all'andamento del mercato e alle qualifiche del professionista”;
della nota dell'Autorità n. prot. 53421 del 4.7.2017 (doc. 2) con la quale è stato comunicato a BMPS il rigetto degli impegni presentati il 13.6.2017;
nonché di ogni altro atto presupposto, successivo o comunque connesso ai provvedimenti appena richiamati.


Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2018 la dott.ssa Roberta Cicchese e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (d’ora in avanti anche Autorità o AGCM) ha ritenuto che una pratica commerciale posta in essere dalla società Diamond Private Investment S.p.A. (DPI), dalla Banca Monte dei Paschi di Siena (BMPS) e da altra banca - e consistita nella prospettazione omissiva e ingannevole ai consumatori di alcune caratteristiche dell’investimento in diamanti – costituisse una pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 21, comma 1, lettere b), c) d) e f), 22, nonché 23, comma 1, lettera t), del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, ne ha vietato l’ulteriore diffusione e ha irrogato alla ricorrente la sanzione amministrativa pecuniaria di 2.000.000 euro.
Con il medesimo provvedimento l’Autorità ha ritenuto la ricorrenza di altra pratica commerciale scorretta, imputabile alla sola DPI.
La pratica per la quale la ricorrente è stata sanzionata è stata ravvisata dall’Autorità nella diffusione di materiale promozionale, predisposto da DPI e reso disponibile anche attraverso il canale bancario cui si rivolgeva il consumatore interessato all’acquisto, in cui si rappresentavano in modo ingannevole ed omissivo: a) il prezzo di vendita dei diamanti, presentato come quotazione di mercato e pubblicato a pagamento su un giornale economico; b) l’andamento del mercato e l’aspettativa di apprezzamento del valore futuro dei diamanti, attraverso grafici costruiti sull’andamento dei propri prezzi di vendita presentati come “quotazioni”, messe a confronto con l’inflazione e le quotazioni ufficiali dell’oro; c) la facile liquidabilità e rivendibilità del diamante, quando invece l’unico canale di rivendita attraverso cui avrebbero potuto essere realizzati i guadagni prospettati è rappresentato da DPI; 4) la qualifica di leader di mercato del professionista, impiegata senza ulteriori precisazioni, al fine di conferire un maggiore affidamento alla propria offerta.
Il ricorso è affidato alle seguenti censure:
Motivo I – Violazione e falsa applicazione degli articoli 21, 21, 22 e 23 del codice del consumo, nonché dell’art. 2729 c.c. e dei principi in materia di presunzioni semplici, eccesso di potere per erronea rappresentazione dei fatti e dei presupposti per l’applicazione della normativa in tema di pratiche commerciali ingannevoli, difetto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza e mancato adempimento dell’onere probatorio, disparità di trattamento in ragione dell’insussistenza di una responsabilità concorrente di BMPS nell’eventuale illecito e dell’assenza di qualsivoglia suo “ruolo attivo” rispetto all’attività di DPI.
La ricorrente sarebbe del tutto estranea alla condotta di DPI, sia alla luce degli accordi stipulati tra le due società, sia in considerazione delle concrete modalità comportamentali seguite dai dipendenti della banca.
L’Autorità, operando una valutazione parziale dei documenti disponibili, tesa a valorizzare solo quelli utili alla tesi accusatoria, sarebbe venuta meno agli ordinari standard probatori.
Tanto sarebbe confermato dal fatto che BMPS ha ricevuto solo quattro reclami, tutti successivi alla trasmissione televisiva Report, che di fatto avrebbe dato origine al procedimento, a mezzo dei quali i consumatori si limitano a chiedere alla Banca di intermediare con DPI.
Dallo stesso provvedimento impugnato, infine, emergerebbe come il ruolo della ricorrente si è limitato ad una mera segnalazione ai propri clienti dell’esistenza del prodotto, comportamento assolutamente non assimilabile a quello di altri istituti bancari coinvolti nello stesso procedimento o in altro similare adottato dall’Autorità nel medesimo periodo.
Motivo II - Violazione e falsa applicazione degli articoli 20, 21, 22 e 23 del codice del consumo nonché dell’articolo 5 della l. 689/1981, eccesso di potere per travisamento e carenza dei presupposti di fatto, difetto di istruttoria e di motivazione, irragionevolezza e illogicità in ragione dell’insussistenza della responsabilità concorrente di BMPS o comunque dell’assenza dell’elemento soggettivo per effetto dell’affidamento suscitato da DPI circa la legittimità della propria attività.
In via subordinata, la ricorrente rappresenta di non potere essere ritenuta responsabile della condotta sanzionata in quanto avrebbe incolpevolmente fatto affidamento sulla conformità dell’attività svolta da DPIalla normativa di settore.
Rileverebbero a tal fine: a) l’emanazione da parte della Banca d’Italia e di Consob di specifici pareri riguardanti l’attività di DPI, b) la collaborazione già instaurata da DPI con altri istituti bancari, c) le informazioni fornite da DPI a BMPS.
Motivo III – Violazione e falsa applicazione dell’articolo 27 del codice del consumo e 8, comma 7, del d.lgs. 145/2007, eccesso di potere per erronea valutazione degli elementi di fatto, difetto di istruttoria, irragionevolezza in ragione del mancato accoglimento degli impegni, manifestamente idonei a eliminare i profili di illiceità della condotta contestata.
Il rigetto degli impegni sarebbe illegittimo, in quanto, a mezzo degli stessi, la banca avrebbe adottato tutte le misure idonee ad elidere i profili di illiceità riscontrati.
Motivo IV – Violazione degli artt. 27, comma 9, del codice del consumo nonché 11 della l. 689/1981, eccesso di potere, contraddittorietà, difetto assoluto di motivazione, violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e parità di trattamento con riferimento alla sanzione imposta in capo a BMPS
Nel determinare la sanzione l’Autorità avrebbe mal apprezzato la gravità della pratica e avrebbe assoggettata la banca a un trattamento deteriore rispetto alla stessa DPI.
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, costituita in giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame.
All’udienza del 17 ottobre 2018 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
In via preliminare occorre rilevare come le censure articolate in gravame sono tese a dimostrare la riconducibilità della condotta contestata a DPI, o, quanto meno, ad escludere la responsabilità di Monte dei Paschi.
Non si rinvengono, pertanto, censure volte a contestare nella sostanza la definizione di scorrettezza della pratica in sé considerata, che quindi può darsi per acclarata.
Con il primo motivo di doglianza la ricorrente sostiene che l’Autorità avrebbe erroneamente ritenuto la ricorrenza di una “responsabilità concorrente” della Banca.
La prospettazione non può essere condivisa, avendo l’Autorità ben ricostruito i fatti ed esercitato, in maniera logica e congruente, la valutazione discrezionale di ingannevolezza della pratica.
Il provvedimento, infatti, ai paragrafi 124 e ss., evidenzia come, in forza dell’accordo di collaborazione sottoscritto tra DPI e MPS, la Banca aveva manifestato la volontà di offrire ai propri clienti un servizio di consulenza nel settore dei beni di lusso, avvalendosi a tal fine dei servizi proposti dalla DPI.
La delibera rappresenta poi come, per l’attività svolta, la Banca conseguiva una provvigione pari ad una percentuale dell’operazione conclusa (tra il 5% e il 15%), rilevando pure come, proponendo ai propri clienti la possibilità di comprare diamanti, BMPS soddisfaceva l’esigenza di offrire alla clientela una diversificazione degli investimenti.
Il provvedimento, pertanto, anche alla luce del contenuto delle linee guida operative ad uso interno dei dipendenti della banca, analizzate ai paragrafi 128 e seguenti, dimostra come l’attività di “segnalazione” di BMPS, al di là della sua formale definizione, comportasse una vera e propria promozione dell’investimento in diamanti, che comportava un’illustrazione del materiale pubblicitario consegnato da DPI e un ruolo attivo nella messa a disposizione di informazioni e consigli.
Il ruolo attivo della ricorrente è poi confermato, oltre che dall’esame di vari documenti contrattuali intercorsi tra le parti, dai reclami dei clienti e dalle segnalazioni delle associazioni, tali nel loro complesso, da giustificare la conclusione, rassegnata nel paragrafo 227, secondo cui il fatto che l’opportunità dell’acquisto dei diamanti venisse presentata al cliente dalla propria banca, in persona del proprio referente investimenti, ingenerava un particolare affidamento nel destinatario delle informazioni, amplificato dalla particolare competenza che egli riconosceva al personale della banca.
La logica linearità della ricostruzione e il suo essere supportata da puntuali riscontri probatori non viene dunque scalfita, come sostenuto dalla ricorrente, dall’atomistico riferimento ad alcune clausole contrattuali che definiscono l’attività di BMPS come di mera “segnalazione” o prevedevano una autonoma responsabilità di DPI per i contratti conclusi.
Al fine di valutare la ricorrenza di una “pratica commerciale scorretta”, infatti, le espressioni contenute in alcune specifiche clausole vanno valutate alla luce del complesso degli accordi negoziali esistenti e, ancor di più, della pratica attuazione degli stessi.
Sotto tale profilo appare di estremo rilievo il contenuto dei reclami, nei quali, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, appare chiara l’attività di promozione e consiglio svolta dai funzionari della ricorrente (cfr. allegati da 21 a 24 della produzione documentale versata in atti dalla stessa ricorrente, che menzionano un “investimento fatto … in seguito al consiglio di MPS Private”, un “investimento … tramite intermediario”, un funzionario che “propose un investimento in diamanti”, un investimento di cospicue somme effettuato “dietro suggerimento e rassicurazioni … da parte di vostri dipendenti”).
Si tratta di documenti di inequivoca valenza probatoria e intrinseca credibilità, tale da rendere recessivo il riferimento al basso numero degli stessi evidenziato dalla ricorrente.
In ogni caso, deve considerarsi come l’esiguo numero di segnalazioni pervenute non elide la configurabilità dell’illecito riscontrato, non occorrendo a tal fine l’individuazione di un concreto pregiudizio delle ragioni dei consumatori, in quanto è la stessa potenzialità lesiva, al fine di evitare anche solo in astratto condizionamenti e/o orientamenti decettivi, che consente di ascrivere la condotta nel quadro dell'illecito di “mero pericolo”, in quanto intrinsecamente idonea a configurare le conseguenze che il codice del consumo ha invece inteso scongiurare (cfr., ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. I, 3 luglio 2009, n. 6446).
Quanto al riferito minor coinvolgimento di BMPS rispetto all’altra banca parte del provvedimento e alle banche destinatarie di un provvedimento coevo avente oggetto simile, l’argomentazione può, al più, essere idonea a disegnare un ambito di responsabilità della ricorrente di minore rilevanza rispetto a quello di altri istituti di credito, ma non è invece utile al fine di escludere l’addebitabilità (anche) a Monte dei Paschi della pratica sanzionata.
La responsabilità di BMPS per i fatti oggetto del provvedimento risulta poi puntualmente correlata anche al ritorno economico da questa conseguito a seguito dell’attività di promozione dei diamanti di investimento, nonché al, pure perseguito, effetto di fidelizzazione della clientela, che aveva la sensazione di avere a disposizione un più ampio servizio consulenziale in materia di investimenti (sulla rilevanza del ritorno economico del professionista al fine di fondare la sua responsabilità per pratica commerciale scorretta, a prescindere dalla estraneità del prodotto offerto rispetto alla gamma tipica di servizi forniti cfr, Consiglio di Stato, sez. VI, 21 marzo 2018, n. 1820).
In proposito appare utile ricordare come il Codice del consumo, all’art. 2, comma 2, lett. c), prevede il diritto dei consumatori ad essere correttamente informati, stabilendo espressamente che essi hanno diritto ad “un'adeguata informazione e ad una corretta pubblicità” ed ancora, alla lettera e), “alla correttezza, alla trasparenza ed all'equità nei rapporti contrattuali”.
Inoltre, ancor più nel dettaglio, l’art. 5, comma 3, prevede che “le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tenuto conto anche delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore”.
Non vanno infine dimenticate le indicazioni di DPI, che ha dichiarato come la maggior parte dei contratti venisse conclusa tramite il canale bancario.
Conclusivamente sul punto, il Collegio ritiene di richiamare il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale la nozione di “professionista” rinveniente dal “Codice del consumo” deve essere intesa in senso ampio, essendo sufficiente che la condotta venga posta in essere nel quadro di una attività di impresa finalizzata alla promozione e/o commercializzazione di un prodotto o servizio. In tal senso, integra la nozione di professionista autore (o co-autore) della pratica commerciale “chiunque abbia una oggettiva cointeressenza diretta ed immediata alla realizzazione della pratica commerciale medesima” (cfr. T.a.r. Lazio, sez. I, 10 gennaio 2017, nn. 311 e 312, 7 aprile 2015, n. 5039; 5 gennaio 2015, n. 41; 25 marzo 2015, n. 4579).
Ne discende che, ai fini dell'imputabilità dell'illecito ai sensi del Codice del Consumo, ciò che rileva è che il professionista abbia con il suo contegno contribuito, in qualità di co-autore, alla realizzazione dell'illecito, non solo ove il suo contributo abbia avuto efficacia causale, ponendosi come condizione indefettibile alla realizzazione della violazione, ma anche allorquando il contributo abbia sostanziato una agevolazione dell’altrui condotta, traendone un diretto vantaggio economico, pur se il professionista non abbia direttamente interagito con il consumatore (Consiglio di Stato, sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3763).
Medesima reiezione si impone per il secondo motivo di doglianza, formulato in via subordinata, con il quale BMPS sostiene la non addebitabilità della pratica commerciale ad essa ricorrente per l’assenza di elemento psicologico.
In proposito appare opportuno, in via preliminare, ricordare come la disciplina di tutela consumeristica, nel presupporre l’attribuibilità psicologica del fatto al soggetto, non postula necessariamente la presenza del dolo (specifico o generico), sicché la configurabilità della fattispecie prescinde dalla sussistenza di un elemento volitivo costituito dal preordinato proposito di porre in essere una condotta antigiuridica, dimostrandosi, per l’effetto, sufficiente la sussistenza dell’elemento psicologico della colpa, vale a dire di un difetto di diligenza rilevabile dal complessivo atteggiarsi del comportamento posto in essere dall’operatore commerciale; cosicché non è affatto richiesto che l’imprenditore abbia volontariamente posto in essere una condotta illecita, ma è sufficiente che, pur sussistendo le obiettive condizioni per scongiurarne il verificarsi, quest’ultimo abbia omesso di modellare il proprio comportamento ai canoni dell'ordinaria diligenza (cfr. da ultimo, Tar Lazio Roma, sez. I, 3 gennaio 2017, n. 61).
Per costante orientamento della giurisprudenza amministrativa, infatti, nelle sanzioni amministrative è necessaria e sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. VI, 29 marzo 2011, n. 1897; Tar Lazio, sez. I, 22 ottobre 2015, n. 12081; 18 aprile 2012, n. 3503).
Nel caso in esame, come già rilevato nel provvedimento al fine di confutare identica tesi articolata nella fase procedimentale, la ricorrente stessa ha ammesso di non aver operato alcuna verifica sul contenuto dell’offerta, comportamento questo che sicuramente non risponde alla diligenza professionale che ci si attende dalle banche laddove esse decidano di fornire ai propri clienti una consulenza in materia di investimenti.
Né vale invocare l’esistenza dei pareri di Consob e Banca d’Italia i quali, come pure evidenziato nel provvedimento con argomentazione logica e condivisibile, riguardavano la liceità dell’attività in astratto e non le concrete modalità con le quali veniva prospettata l’offerta.
Un affidamento legittimo e meritevole di tutela, poi, non poteva essere ingenerato dalla condotta di altre banche, ciascuna responsabile per sé del proprio operato, o dalle dichiarazioni di DPI, atteso che proprio queste costituivano l’oggetto del doveroso controllo che BMPS avrebbe dovuto compiere prima di recepire acriticamente tutto il materiale pubblicitario consegnato.
Va poi rilevata l’infondatezza del terzo motivo di ricorso, con il quale la ricorrente ha censurato il provvedimento di rigetto degli impegni da essa presentati in corso di procedimento.
Deve infatti rilevarsi come il provvedimento, espressione di ampio potere discrezionale, è stato puntualmente motivato dall’Autorità con riferimento all’interesse a procedere all’accertamento dell’infrazione, di particolare scorrettezza e gravità (sull’ampiezza dei poteri esercitati dall’AGCM in materia di valutazione degli impegni, cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 10 dicembre 2015, n. 13821, che ha rilevato come “Anche in materia di pratiche commerciali scorrette, l'Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato è chiamata a valutare non solo l'idoneità delle misure correttive proposte ma anche la sussistenza di un rilevante interesse pubblico all'accertamento dell'eventuale infrazione e, quindi, prima ancora, la stessa opportunità di preferire una procedura negoziata a quella di infrazione, per cui l'interesse dell'Amministrazione ad irrogare un'ammenda, attesa la funzione deterrente e di monito per gli operatori rivestita da quest'ultima, giustifica di per sé il rigetto degli impegni, attese le finalità di interesse pubblico connesse all'accertamento dell'eventuale infrazione”).
L’Autorità, inoltre, ha evidenziato come gli impegni proposti non si presentassero idonei a rimuovere tutti i profili di criticità rilevati, in quanto gli stessi, intervenendo solo su alcuni aspetti della pratica commerciale, non apparivano risolutivi delle criticità riscontrate.
Va infine respinto il quarto motivo di doglianza, con il quale la ricorrente ha contestato l’attività di quantificazione della sanzione.
In proposito deve osservarsi come, nella determinazione della sanzione, l’Autorità si è attenuta ai parametri di riferimento individuati dall’art. 11 della legge n. 689/81, in virtù del richiamo previsto all'articolo 27, co. 13, del d.lgs. n. 206/05, e quindi ha considerato, in generale, la gravità della violazione, l’opera svolta dall'impresa per eliminare o attenuare l'infrazione, la personalità dell'agente e le condizioni economiche dell'impresa stessa (cfr. paragrafo 240).
Con particolare riferimento alla gravità della violazione, il provvedimento ha evidenziato l’ampia diffusione della pratica, dipendente dalle modalità utilizzate per la comunicazione (internet, stampa, anche di tipo specializzato, percepita dal consumatore come di particolare affidabilità), sia dalla diffusione di materiale pubblicitario cartaceo presso le molteplici filiali delle banche di riferimento.
L’Autorità ha pure considerato l’asimmetria informativa esistente tra professionista e consumatori, la cui ricorrenza risulta puntualmente argomentata nella parte di provvedimento riguardante la ricorrenza della pratica, come visto non censurata dalla ricorrente.
Con particolare riferimento alla ricorrente poi, il provvedimento ha considerato le condizioni economiche del professionista, definite dal fatturato dello stesso, e la durata della pratica, che ha dispiegato i suoi effetti dal gennaio 2013 al febbraio 2017.
Diversamente da quanto prospettato in ricorso, pertanto, il fatto che la sanzione inflitta a Monte dei Paschi sia superiore a quella inflitta a DPI, non deriva dallo scorretto apprezzamento dei contribuiti causali dei due professionisti - peraltro in concreto assolutamente equivalenti, atteso che in assenza del canale bancario la diffusione della pratica sarebbe stata di gran lunga inferiore - ma dipende evidentemente dal fatturato delle stesse.
Né la somma irrogata importa una violazione del principio di ragionevolezza, alla luce del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini di una efficace funzione deterrente, la sanzione va parametrata al fatturato realizzato dall’impresa e non al prodotto di volta in volta coinvolto nella condotta accertata (così, ex multis, Tar Lazio, Roma, sez. I, 22 giugno 2018, n. 7009 e Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4085).
Tale argomentazione consente pure di respingere la censura di disparità di trattamento con riferimento a DPI, all’altra banca coinvolta nel procedimento e alle banche parti del procedimento coevo per fatti similari.
Deve infatti osservarsi come la sanzione che viene irrogata per le pratiche commerciali scorrette non ha funzione puramente reintegratoria dello status quo ante, e dunque una matematica corrispondenza con gli effetti pratici della condotta o il vantaggio economico conseguito dal professionista, essendo la stessa finalizzata a garantire un’effettiva efficacia deterrente, generale e speciale, alla luce di tutti i parametri sopra richiamati.
Peraltro per l’altra banca parte del medesimo procedimento, la diminuzione dell’importo irrogato alla luce dei parametri generali è dipesa da una condotta attiva espressamente menzionata nel provvedimento e consistita in un’attività volta a mitigare l’impatto della pratica sui consumatori e a proseguire il servizio ponendo in essere iniziative a vantaggio dei consumatori.
Da ultimo vanno respinte le argomentazioni, in ordine all’assenza di responsabilità e o di elemento psicologico, già esaminate nell’ambito del primo e del secondo motivo di ricorso.
In conclusione il ricorso va respinto.
Le spese di lite possono essere compensate in ragione della novità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2018 con l'intervento dei magistrati:


Carmine Volpe, Presidente
Roberta Cicchese, Consigliere, Estensore
Roberta Ravasio, Consigliere
 
 
 
 
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