La sentenza del 28 aprile 2011, con cui
la Corte di Giustizia Europea ha definitivamente abolito il reato di clandestinita' introdotto nel nostro Paese dal Pacchetto Sicurezza del 2009, ha costretto il Parlamento italiano ad attivarsi per riformare, in senso conforme alla Direttiva Rimpatri, il Testo Unico sull’immigrazione (ormai rivisto in piu’ occasioni) anche nella sezione dedicata al respingimento e alle espulsioni degli stranieri irregolari presenti sul territorio italiano.
Il nostro legislatore ha quindi adottato la l. 129/2011, entrata in vigore il 6 agosto 2011, col dichiarato intento di recepire finalmente nell’ordinamento italiano la Direttiva Rimpatri europea. Tuttavia, gia’ una prima analisi delle misure introdotte dalla nuove legge per contrastare la permanenza di stranieri irregolari sul territorio nazionale,
suscita seri dubbi sulla loro reale efficacia e perplessita’ sulle scelte adottate dal Parlamento italiano. Perplessita’ condivisa anche da Amnesty International che, poco dopo la sua entrata in vigore, ha sollecitato il legislatore ad annullare la nuova legge, ritenendola gravemente lesiva dei diritti dei migranti irregolari.
Anche se la conformita’ delle nuove norme alla Direttiva europea sara’ senz’altro sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia Europea e della Corte Costituzionale, questo richiedera’ del tempo. E nel frattempo vediamo quali sono gli effetti della nuova legge per gli stranieri irregolari presenti in Italia.
Le principali modifiche che effettivamente hanno portato un avvicinamento della normativa italiana alla Direttiva Rimpatri sono le seguenti:
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il provvedimento di espulsione deve per legge essere adottato dal Prefetto “caso per caso”, tenendo conto delle particolari condizioni dello straniero, che dovranno essere adeguatamente motivate nel decreto prefettizio;
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il divieto di reingresso, che in Italia sempre accompagna il decreto di espulsione e che nella vecchia formulazione del Testo Unico era fissato in un periodo di 10 anni (con la possibilita’, valutata la condotta dello straniero, di prevedere un termine minore, in ogni caso non inferiore a 5 anni),
e’ ridotto dalla nuova legge a un periodo compreso fra i 3 e i 5 anni (un termine piu’ lungo puo’ essere previsto soltanto nei casi, tassativamente indicati, di espulsione disposta dal Ministero dell’Interno per motivi di ordine pubblico o sicurezza dello Stato, di espulsione disposta nei confronti di persone ritenute pericolose per la sicurezza o per la pubblica moralita’, o ancora di persone che fondatamente si possano ritenere collegati con organizzazioni od attività terroristiche);
- mentre nella vecchia formulazione della legge l’espulsione prefettizia si eseguiva sempre con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (salvo il caso di mancato rinnovo del permesso di soggiorno entro i termini di legge), l’accompagnamento coattivo e’ adesso disposto in casi tassativi. Tuttavia, questo non cambia di molto la situazione, posto che fra i casi tassativi rientra la sussistenza del “pericolo di fuga” da parte dello straniero, e che tale pericolo e’ ritenuto sussistente in ogni caso di:
* mancato possesso di un documento valido per l’espatrio;
* mancanza di documentazione idonea a dimostrare la disponibilita’ di un alloggio ove lo straniero possa essere agevolmente rintracciato;
* precedente dichiarazione o attestazione di false generalita’;
* mancato rimpatrio volontario entro il termine eventualmente concesso, oppure inottemperanza al divieto di reingresso o ad un provvedimento che impone una delle misure imposte durante il termine per la partenza volontaria o in alternativa al trattenimento presso un CIE.
Nel caso di stranieri irregolarmente presenti sul territorio, e’ pertanto agevole concludere che sara’ pressoche’ sempre configurabile il rischio di fuga cosi’ come delineato dalla nuova normativa.
Nei rarissimi casi in cui non ricorrano le condizioni per l’accompagnamento immediato alla frontiera (incluso il suddetto rischio di fuga), e comunque fuori dei casi di respingimento alla frontiera,
lo straniero puo' chiedere al Prefetto che gli venga concesso un termine per la partenza volontaria compreso fra 7 e 30 giorni (che puo’ essere prorogato, se necessario, tenuto conto delle circostanze specifiche del singolo caso).
Si osservi pero’ che la concessione di tale termine e’ sempre accompagnata:
* dalla dimostrazione della disponibilita’ di risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite (difficilmente dimostrabili da chi si trova sul territorio irregolarmente);
* dall’irrogazione di una o piu’ misure limitative della liberta’ personale (consegna del documento valido per l’espatrio, obbligo di dimora in un luogo dove possa essere facilmente rintracciato, obbligo di presentazione presso un ufficio della forza pubblica in giorni ed orari stabiliti).
In relazione al requisito delle risorse economiche sufficienti derivanti da fonti lecite, e' chiaro che il riferimento non puo' essere relativo a guadagni derivanti da attivita' lavorativa, posto chi e' clandestino sul territorio italiano non puo' lavorare e, se cosi' fosse, di fatto la norma stessa negherebbe a priori a tutti i clandestini la possibilita' del rimpatrio volontario. E poiche' chi e' clandestino non ha nemmeno accesso a finanziamenti presso istituti di credito, pare piuttosto che l'unica soluzione concreta possibile sia quella di ottenere un prestito da terzi o amici, dimostrando la liceita' della provenienza delle somme.
Si noti a riguardo che, trattandosi di misure coercitive, la legge prevede che esse siano convalidate dal giudice di pace in tempi rapidi, e che in mancanza perdano ogni efficacia. Tale disposizione parrebbe all’apparenza posta a garanzia dello straniero, addirittura avvisato della
“facolta’ di presentare personalmente o a mezzo di difensore memorie o deduzioni al giudice della convalida”; ma ben si evince da una lettura a contrario della stessa che si tratta di un provvedimento adottato nella stragrande maggioranza dei casi senza la partecipazione dello straniero interessato, e quindi senza alcuna garanzia di contraddittorio (pur previsto dalla Costituzione come obbligatorio ogni qualvolta si pongano restrizioni alla liberta’ delle persone). L’interessato viene infatti coinvolto solo qualora sia lui stesso ad attivarsi, presentando memorie o deduzioni entro 48 ore da quando gli viene comunicato il provvedimento.
Le procedure di convalide dell'espulsione da parte del giudice di pace nonche' i tempi e le modalita' di impugnazione dell'espulsione rimangono pressoche' invariate rispetto alla normativa precedentemente in vigore.