Registrare di nascosto una conversazione tra presenti non è
reato
Cassazione penale, sez. II, sentenza 10/06/2016 n° 24288
La registrazione di una conversazione tra presenti, compiuta
di propria iniziativa da uno di questi, non necessita di
alcuna autorizzazione da parte del giudice per le indagini
preliminari e può essere usata nel processo. E' quanto
emerge dalla sentenza della Seconda Sezione Penale della
Corte di Cassazione del 10 giugno 2016, n. 24288.
Costante giurisprudenza afferma come le registrazioni di
conversazioni tra presenti, compiute di propria iniziativa
da uno degli interlocutori, non necessita
dell'autorizzazione di cui all'art. 267 c.p.p., in quanto
non rientranti nel concetto di intercettazione in senso
tecnico, ma si risolvono in una particolare forma di
documentazione che non è sottoposta alle limitazioni ed
alle formalità proprie delle intercettazioni.
Di conseguenza, l'acquisizione al processo della
registrazione dei colloqui può legittimamente avvenire
attraverso il meccanismo di cui all'art. 234, comma 1,
c.p.p., che qualifica come “documento” tutto ciò che
rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la
cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo; il
nastro che contiene la registrazione altro non è che la
documentazione fonografica del colloquio, la quale può
integrare quella prova che diversamente non potrebbe essere
raggiunta e può rappresentare una forma di autotutela e
garanzia per la propria difesa, con l'effetto che una simile
pratica finisce col ricevere una legittimazione
costituzionale (Cass. Sez. Un., 28 maggio 2003, n. 36747).