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Rinnovo del permesso di soggiorno in caso di condanne penali: necessario bilanciare pericolosita' e radicamento sociale
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Scheda Pratica di Emmanuela Bertucci
15 novembre 2012 9:26
 
Il testo unico in materia di immigrazione esclude la possibilita' di ingresso in Italia per chi risulti condannato, anche con sentenza non definitiva, per reati per i quali e' previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Diversamente, nel caso di rinnovo del permesso di soggiorno richiesto dallo straniero che abbia commesso reati ostativi, l'esistenza di precedenti condanne penali non puo' essere, di per se', motivo automatico di diniego ma l'autorita' – nella valutazione della pericolosita' sociale del soggetto – dovra' tenere debitamente in conto una serie di ulteriori elementi quali la durata del soggiorno in Italia, il radicamento sociale e familiare. Non si tratta di una “novita'” ma di principio introdotto nella legislazione italiana sin dal 2007 (con d.lgs. 5/2007, art. 2), e piu' volte riaffermato dalla Corte di Giustizia europea che ha ribadito la necessita' di accertare caso per caso l'effettiva sussistenza di comportamenti socialmente pericolosi senza limitarsi a generiche presunzioni. Si tratta pero' di un principio che ancora oggi molte Questure italiane stentano ad applicare, ragion per cui di frequente il Consiglio di Stato e' intervenuto nella materia cercando di sradicare una prassi ancora molto invalsa e confermata – altrettanto spesso – dai tribunali amministrativi di prima istanza.

In particolare, con la sentenza n. 5516 del 29 ottobre 2012 il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittimo il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno motivato dall'esistenza di una (unica in quel caso) condanna penale, senza tenere in conto il fatto che il richiedente lavorava in Italia da svariati anni, aveva reperito regolare occupazione lavorativa in epoca antecedente al suo arresto ed era coniugato con cittadina ucraina residente in Italia con la quale regolarmente conviveva al momento dell’arresto e con la quale ha avuto un figlio tredicenne, sia pure ancora residente in Ucraina. Secondo la Corte, sebbene l'articolo 5, comma 5 del d.lgs. 286/1998 preveda che: “Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale”, questa disposizione va interpretata nel senso che oggetto della tutela è il nucleo familiare e che pertanto detta tutela va riconosciuta ogni volta che esista un nucleo familiare residente in Italia e convivente in quanto non sarebbe ragionevole escludere la tutela solo perché il nucleo familiare si trova già riunito in Italia senza che sia stato necessario un procedimento di ricongiungimento.

Similmente, in un caso di rigetto della richiesta di aggiornamento della carta di soggiorno a causa di una condanna per illecita detenzione di sostanze stupefacenti, sempre il Consiglio di Stato, con sentenza n. 5515 del 29 ottobre 2012 ha accolto l'appello dello straniero contro la sentenza del TAR che riteneva legittimo il diniego sulla base della sola sussistenza della sentenza, ritenendo automatico il diniego. Il Consiglio di Stato accoglieva le ragioni dello straniero poiche': “La novella legislativa rappresentata dall'art. 1 d.lgs n.3/2007 trova applicazione nel caso di specie, sicchè,
conclusivamente, il provvedimento impugnato, va ritenuto illegittimo alla luce della nuova formulazione, di cui all'art. 1 del d.lgs 3/2007, che ha collegato il rigetto del permesso di lungo periodo ad una puntuale e specifica verifica della pericolosità dello straniero, con esclusione di forme di automatismo preclusivo”, ritenendo dunque che l'eventuale giudizio di pericolosità sociale dello straniero debba essere articolato “non solo con riguardo alla circostanza dell'intervenuta condanna, ma su più elementi, ed in particolare con riguardo alla durata del soggiorno nel territorio nazionale e all'inserimento sociale, familiare e lavorativo dell'interessato, escludendo l'operatività di ogni automatismo in conseguenza di condanne penali riportate (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 febbraio 2010, n. 1133; 3 agosto 2010, nn. 5148 e 7541; 23 dicembre 2010, n. 9336; 13 settembre 2010, n. 6566; 13 dicembre 2009, n. 7571; 18 settembre 2009, n. 5624).”


Sul tema della effettiva pericolosita' sociale si e' recentemente pronunciata anche la Corte Costituzionale che con con sentenza n. 172 del 6 luglio 2012 ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l'art. art. 1-ter, comma 13, lett. C del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, introdotto dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, il quale disponeva che non potessero essere ammessi alla procedura di regolarizzazione i lavoratori extracomunitari condannati per uno dei reati previsti dagli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, nella parte in cui fa derivare automaticamente il rigetto della istanza di regolarizzazione del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna per uno dei reati previsti dall’art. 381 del codice di procedura penale, senza prevedere che la pubblica amministrazione provveda ad accertare che il medesimo rappresenti una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Secondo la Corte l'automatica esclusione dalle procedure di regolarizzazione per i soggetti condannati per i reati per i quali e' previsto l'arresto facoltativo viola l'art. 3 della Costituzione, assoggettando ad una stessa disciplina (l'esclusione dalla regolarizzazione) azioni di rilevanza penale profondamente diverse per gravità e intensità del dolo (i casi di arresto facoltativo contrapposti a quelli di arresto obbligatorio). Correttamente la Corte parametra la norma censurata all'esigenza di non consentire l'ingresso e la permanenza in Italia a soggetti socialmente pericolosi ritenendo che l'“irragionevolezza della norma censurata assume anzitutto rilievo la considerazione che il diniego della regolarizzazione consegue automaticamente alla pronuncia di una sentenza di condanna anche per uno dei reati di cui all’art. 381 cod. proc. pen., nonostante che gli stessi non siano necessariamente sintomatici della pericolosità di colui che li ha commessi. In tal senso è, infatti, significativo che, essendo possibile procedere per detti reati «all’arresto in flagranza soltanto se la misura è giustificata dalla gravità del fatto ovvero dalla pericolosità del soggetto desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto» (art. 381, comma 4, cod. proc. pen.), è già l’applicabilità di detta misura ad essere subordinata ad una specifica valutazione di elementi ulteriori rispetto a quelli consistenti nella mera prova della commissione del fatto”.

Nonostante il conforto della giurisprudenza, il problema resta aperto nelle prassi delle Questure ed pare necessario un intervento piu' ampio della Corte Costituzionale, in relazione alle norme contenute nel testo unico in materia di immigrazione sull'argomento. Capita spesso infatti che stranieri extracomunitari che vivono in Italia da moltissimi anni si vedano negare il rinnovo del pds
a causa di una sentenza penale di condanna e siano costretti ad abbandonare l'Italia. E' questo il caso posto al TAR Veneto che con una recente ordinanza (ord. 223 del 16 luglio 2012, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 17 ottobre 2012) ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 5, e 9 del d.lgs. n. 286 del 1998. Nel caso all'attenzione del Tribunale un cittadino marocchino residente in Italia dal 1992, sposatosi con cittadina italiana dalla quale ha poi divorziato quindici anni dopo, genitore di cittadino italiano, da sempre regolarmente soggiornante con permesso di soggiorno per motivi di lavoro autonomo. Per sua scelta non ha mai richiesto la cittadinanza italiana, ne' il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo ne' un permesso di soggiorno per motivi di famiglia, pur essendo in possesso dei requisiti per tutti questi titoli di soggiorno. All'ennesima richiesta di rinnovo del pds la Questura risponde con un diniego motivato da una condanna penale del 2010, ancora non definitiva. Nell'ordinanza di reimissione alla Corte Costituzionale il Collegio anticipa, con questa sintetica e chiara spiegazione, il “cuore” delle motivazioni tecnico giuridiche poi esposte nel provvedimento: “Poiche' [il Collegio, ndr] si e' posto il dubbio della legittimita' costituzionale delle predette norme nella parte in cui prevedono una tutela rafforzata contro l'allontanamento solo nei confronti dei soggetti che abbiano presentato una domanda di ricongiungimento, o siano ricongiunti, o siano titolari di un permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo o abbiano fatto richiesta di rilascio di tale titolo di soggiorno, anziche' nei confronti di quanti si trovino in quelle medesime condizioni sostanziali contemplate dalle norme citate indipendentemente dalla circostanza di aver presentato un'istanza formale”.
 
 
 
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