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L'espulsione amministrativa del cittadino extracomunitario clandestino. Un caso pratico
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Scheda Pratica di Anna Jennifer Christiansen
2 novembre 2011 9:38
 
Abbiamo visto come il legislatore italiano, in seguito alla graduale disapplicazione da parte della giurisprudenza nazionale e comunitaria di gran parte delle disposizioni del pacchetto Sicurezza del 2009, ha rivisto il Testo Unico Immigrazione per adeguarlo agli standard imposti agli Stati europei da parte della Direttiva Rimpatri. Il nuovo testo della legge è in vigore ormai da qualche mese: vediamo come la riforma ha influito in concreto sulla gestione del problema dell’immigrazione clandestina in Italia. Lo facciamo esaminando un decreto di espulsione tipo, ove il Prefetto e' chiamato ad applicare la nuova disciplina e ad utilizzare i nuovi strumenti che essa mette a disposizione.

La prima cosa che si nota, paragonando il nuovo “foglio di via” alle espulsioni emesse prima della riforma, é che gli stranieri irregolari espulsi prima dell’estate ricevevano un ordine di lasciare il territorio dello stato entro 5 giorni, mentre a quello accompagnato in Questura dopo il 6 agosto viene ordinato di andarsene entro 7 giorni. Inoltre cambiano le pene minacciate in caso di inottemperanza a tale ordine: prima la sanzione consisteva nella reclusione da 1 a 4 anni, adesso in una multa da 10.000 a 20.000 €. Lo straniero fermato dopo il 6 agosto deve quindi ritenersi fortunato: ha a disposizione 2 giorni in più per lasciare lo Stato, e se non adempie non va più in galera, ma deve “solo” pagare allo Stato una somma fra 10.000 e 20.000 €.

Il ricorso al rimpatrio volontario rimane –nella prassi– ipotesi solo residuale contravvenendo quindi alla norma e ai principi della direttiva comunitaria. Ne e' esempio la stessa formulazione standard del decreto di espulsione: “rilevato che nel caso in esame si esclude la possibilita' di far ricorso alla facolta' del rimpatrio volontario in quanto ricorrono le condizioni per accompagnamento immediato alla frontiera”. E' lampante la forzatura operata, che ribalta l’ordine di applicazione delle misure previste a livello europeo, disattendendo completamente lo spirito della Direttiva, che impone agli Stati di adottare un provvedimento di rimpatrio volontario ogni qualvolta sia possibile, preferendolo alle misure coercitive, più lesive dei diritti dello straniero. Nella “nuova” formulazione del decreto di espulsione l'ordine e' inverso: si esclude il rimpatrio volontario poiche' ci sono le condizioni per l'accompagnamento immediato.

Seppur nella sostanza cambi poco, e se anche la pubblica amministrazione esaminera' la sussistenza dei requisiti per il rimpatrio, cio' nondimeno una simile formulazione rende chiaro lo scopo della PA: osteggiare la direttiva, mantenere il sistema delle espulsioni uguale al precedente cercando di non incorrere nella violazione delle norme europee. Lo stesso spirito della circolare Manganelli (Circolare del Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, del 17 dicembre 2010), emessa nel periodo di diretta efficacia della direttiva –quando ancora l'Italia non aveva provveduto al recepimento– in cui si suggerisce agli operatori una serie di “trucchetti” per aggirare le preclusioni comunitarie.

Le conseguenze sono di non poco rilevo
In primo luogo, la mancata concessione di un termine che consenta allo straniero di rimpatriare di propria volontà, implica (per mezzo di altra norma ben poco conforme alla Direttiva) che l’espulsione viene automaticamente corredata di un divieto di fare reingresso in Italia per 5 anni, pena la reclusione da 1 a 4 anni. Anche qui la differenza con la direttiva e' eloquente: secondo la direttiva il divieto di reingresso va da 0 a 5 anni; per il legislatore italiano va da 3 a 5 anni; le prefetture dispongono quasi sempre il divieto di reingresso per il periodo massimo, di 5 anni.

In secondo luogo, l'esclusione del rimpatrio volontario comporta il trattenimento dello straniero in un CIE ogni qualvolta non sia possibile eseguire immediatamente l’accompagnamento coattivo, ad es. per mancanza dei documenti per l’espatrio o di un mezzo di trasporto col quale accompagnare lo straniero in aeroporto. Si consideri che la mancanza del mezzo di trasporto è, purtroppo, la norma nel nostro Paese.

Ma il circolo vizioso non si interrompe qui. Altra circostanza disciplinata dalla Direttiva europea come ”situazione d’emergenza”, ma che da noi costituisce ormai la regola e non l'eccezione, è infatti la mancanza di disponibilità di posti nei CIE.
Ed è questa circostanza che porta all’ordine di lasciare il territorio, intimato dal Prefetto in applicazione dell’art. 14, comma 5-bis del Testo Unico, il quale recita come segue: “Allo scopo di porre fine al soggiorno illegale dello straniero e di adottare le misure necessarie per eseguire immediatamente il provvedimento di espulsione […] il questore ordina allo straniero di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di 7 giorni”. La soluzione individuata dal legislatore italiano per gestire la cronica emergenza e' l'ordine di lasciare il territorio entro sette giorni, cioe' esattamente quanto accadeva prima della riforma (rectius, lo straniero ora ha ben due giorni in piu per organizzarsi!).

Nonostante questo rimedio sia, a nostro avviso, assolutamente privo di legittimazione ai sensi della direttiva europea, esso finisce così per trovare applicazione nella stragrande maggioranza dei casi di rimpatrio di stranieri irregolari in Italia.

Chi riceve un decreto di espulsione come quello in esame, ha quindi una settimana di tempo per lasciare il Paese, procurandosi quanto serve al rimpatrio. Un’impresa praticamente impossibile per uno straniero che, in quanto irregolare, non può lavorare.
In realtà sarebbe prevista nel Testo Unico la possibilità per il Prefetto di fornire allo straniero documenti e denaro ai fini del rimpatrio. Così come sarebbe prevista l’attuazione, da parte del Ministero dell’Interno, di ”programmi di rimpatrio assistito” che dovrebbero garantire allo straniero il ritorno in patria in condizioni più umane e dignitose. Ma tutto ciò resta, al momento, un bel miraggio.

La risposta al nostro quesito iniziale, su come la riforma del Testo Unico abbia influito sulla gestione da parte della P.A. del fenomeno dell’immigrazione clandestina, non può quindi che essere la seguente: non ha praticamente influito, se non nel senso di abolire la reclusione e prevedere invece la pena pecuniaria per il caso di impossibilità di adempiere all’ordine del Prefetto.
Ancora una volta il legislatore italiano ha insomma optato per una riforma di facciata, che lascia pressoche’ inalterate le precedenti procedure di gestione del fenomeno immigratorio, rinunciando anche in questa occasione al tentativo di riassumere il controllo di una situazione ormai da tempo sfuggitagli di mano. Una situazione che non consente ne’ di garantire il rispetto dei diritti umani, ne’ di esercitare alcun controllo effettivo sui flussi migratori che interessano il nostro Paese.
 
 
 
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