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Lettera 
18 giugno 2009 0:00
 
Buongiorno,
ho 32 anni e combatto ancora per i miei diritti di figlia.
Ho perso il conto delle cause in corso contro mio padre. Da due anni attendevo la prima udienza penale. Attendevo di poter finalmente dire a un giudice quanto dolore ho visto e vissuto nella mia vita e spiegare quanto poco ci sia di umano in quel personaggio da cui ho preso il cognome. Da due anni attendevo di raccontare in pochi minuti una vita lunga 32 anni, sperando di ottenere giustizia.
Il mio avvocato mi aveva detto che quel giorno sarebbe stato l'otto luglio prossimo. Avevo tutto il tempo per adempiere alle procedure che mi permettessero di testimoniare. Avevo tutto il tempo di raccogliere le mie memorie. Avevo tutto il tempo per produrre la documentazione necessaria a dimostrare il dolore e il danno subiti.
L'avvocato si era sbagliato. Si era distratto. L'udienza si sta tenendo ora, in questo preciso momento in cui sto scrivendo. E io non lo sapevo. Quante volte ho chiesto al mio avvocato la data dell'udienza? Fino allo sfinimento. Non sono in aula perché non sono stata avvertita del calendario delle udienze che riguardano la mia persona e i miei diritti. Non sono lì a far scorrere il fiume di parole che mi comprime l'anima da una vita. Nessuno mi permette uno sfogo. Le memorie non verranno presentate. I certificati medici che spiegano quanto anche il mio fisico abbia risentito di mio padre, non sono agli atti. Io non ho potuto costituirmi parte civile per decorrenza dei termini. Io non sono in aula. Mia madre non è in aula ad esporre il suo dolore di donna e di madre. Il mio avvocato non è preparato. Mio padre invece è lì, con i suoi avvocati che conoscono la mia vita come l'Ave Maria. Archivieranno la causa. Me lo sento. Lo so. Con quel nulla che il mio avvocato porterà in tribunale, anch'io se fossi un giudice archivierei.
E' finita la mia vita. Avevo una sola ragione per aspettare il giorno successivo: la giustizia. Non l'avrò. E ho bisogno di aiuto.
Un giorno mio padre mi disse: "Di tutti e tutto devi dubitare in questa vita; puoi fidarti solo di me e di tua madre". L'unica persona in cui come figlia, dovevo e potevo riporre fiducia, mi ha buttato nel baratro e ha voltato le spalle.
Allora mi sono rivolta a una persona che, per studi fatti e per l'abilitazione che lo Stato in cui vivo gli ha riconosciuto, doveva tutelarmi e far valere i miei diritti. Anche lui, il mio avvocato, mi ha affossato nel baratro e ha voltato le spalle.
Ho bisogno di aiuto. Sono sola.
Sono passate quasi sei ore da quando ho iniziato a scrivere e solo ora il mio avvocato ha risposto ad una mia chiamata. Il Giudice si è riservato di decidere. Una speranza debole, ma pur sempre una speranza.
Non voglio descrivere gli innumerevoli atti di violenza che ho visto compiere da mio padre. Fa troppo male. Ma vorrei raccontare come ricordo il giorno della mia prima comunione: mio padre che tenta di strangolare mia madre in camera da letto.
Monica, da Roma (RM)

Risposta:
ci spiace per la sua vicenda... sicuramente il suo legale ha commesso una negligenza professionale... se ne dovesse subire un danno si faccia valere con una lettera raccomandata A/R di messa in mora: clicca qui
 
 
 
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